Imparare a difendersi nel periodo “Covid-19”
All’inizio, la crisi legata alla diffusione dell’epidemia da Covid19 ha creato una situazione confusa che è evoluta rapidamente. Le persone hanno cominciato a paragonare il contesto che si trovavano di fronte alla fine del mondo e alle notizie relative agli ospedali sovraffollati e all’incapacità del sistema sanitario di far fronte al carico di malati ha fatto seguito la preoccupazione relative alle scorte alimentari. Il panico rappresenta un elemento ricorrente nelle fasi iniziali di tutti i contesti di crisi, ma sebbene ancora non si possa tracciare un bilancio dell’efficacia delle misure adottate nel contenimento della diffusione della pandemia, una cosa sembra essere certa: la conseguenza della quarantena di massa, il cosiddetto lock down, è la paura. La paura di infettarsi, alla paura di infettare, la paura per i figli o per i genitori anziani, la paura della crisi economica… Questa è stata alimentata e amplificata inevitabilmente dalla narrativa che ha accompagnato l’aumentare dei casi, delle morti e di un bollettino quotidiano che molto spesso è stato rappresentato come un bollettino di guerra. I fattori che in questo contesto ne hanno condizionato l’evoluzione sono stati molteplici.
I fattori che hanno condizionato l’evoluzione della crisi Coronavirus
Primo, le rigide misure adottate hanno assunto un grande valore simbolico e indicando fin da subito che le Autorità ritenessero grave la situazione e che questa potesse peggiorare. Secondo, specialmente all’inizio della crisi, l’imposizione di misure quali la definizione di zone rosse, primariamente a beneficio di coloro che risiedevano fuori dalle città più colpite, ha indebolito la fiducia di coloro che risiedevano all’interno di queste aree. Terzo la quarantena, ma anche l’isolamento sociale si associa per definizione alla perdita di controllo e alla sensazione di sentirsi in trappola. Quarto, il desiderio continuo di informazioni ha spinto e continua a spingere le persone ad affidarsi anche fonti non attendibili. Per qualcuno l’impatto combinato di tutti questi elementi può avere un impatto psicologico molto significativo. Mentre l’ansia tra le persone oggetto di quarantena è comune, ci può attendere, nel prossimo futuro, anche un effetto discriminatorio, come anche sottolineato sia dall’OMS che dal ministero della salute, di stigma sociale di coloro che sono stati oggetto di isolamento o che hanno contratto la malattia e ne sono guariti. In qualunque disastro biologico, i temi della paura, dell’incertezza e della stigmatizzazione sono comuni e possono tradursi in barriere all’accesso alle cure mediche e psicologiche.
Le persone maggiormente vulnerabili sotto il profilo psicologico
I recenti ordinamenti e protocolli che si sono avvicendati e finalizzati al contrasto e al contenimento della diffusione del virus Covid19 negli ambienti di lavoro hanno sempre fatto riferimento alla tutela di persone che potessero essere considerate più vulnerabili. Tale definizione è stata ricondotta spesso implicitamente, anche dagli addetti ai lavori, all’età avanzata (l’essere anziano è un fattore di maggior suscettibilità in sé) o a patologie preesistenti che in caso di infezione potrebbero favorire nel paziente un’evoluzione più severa. Ma la vulnerabilità non è soltanto fisica, ci sono persone e lavoratori che possono essere particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico e che possono richiedere interventi di sostegno personalizzati. In questo contesto la letteratura medico scientifica ha basato le sue osservazioni su situazioni analoghe occorse in passato, anche se più localizzate e non a diffusione pandemica come ad esempio nel caso dei proprietari di cavalli quarantenati durante l’influenza equina o durante la prima SARS del 2002. In questi contesti, alcune caratteristiche sembra che abbiano favorito un effetto psicologico negativo: ad esempio la giovane età (tra i 16 e 24 anni), un basso livello di istruzione, non avere figli o l’avere un figlio solo (al contrario avere 3 o più figli sembra avere un effetto protettivo). Nella popolazione anziana i disturbi mentali sono più frequenti con una prevalenza di quelli di natura depressiva. L’alto tasso di mortalità tra le persone anziane nel caso di infezione da covid19 potrebbe esacerbare il rischio di sviluppare disturbi mentali o peggiorare problemi già in atto. Inoltre, gli anziani da un lato hanno un acceso limitato ad internet o agli smartphone, dall’altro la quarantena di massa e le restrizioni allargate anche al trasporto pubblico possono rappresentare una barriera importante nell’accesso alle strutture di cura e supporto. Un altro gruppo di persone che può particolarmente essere colpiti da questa situazione è rappresentato da coloro che soffrono di patologie acute o croniche diverse dal covid19 ma che a causa della paura di infettarsi rinunciano ad accedere a strutture sanitarie per sottoporsi a visite mediche, esami e terapie. Infine, l’avere sofferto nella propria storia clinica di disturbi psichiatrici può essere associato a manifestazioni ansiose che possono comparire anche 4-6 mesi dopo la fine della quarantena. La consapevolezza di quelli che possiamo definire come fattori predisponenti verso una difficoltà sotto il profilo psicologico è molto importante nell’orientare le strategie di supporto in favore dei lavoratori.
Le strategie di supporto per l’emergenza da Covid-19
Nell’affrontare le misure che possono essere messe in campo per fronteggiare l’impatto psicologico dell’attuale contesto va fatta una prima distinzione: interventi durante la crisi e interventi dopo la crisi. La seconda distinzione necessaria è tra quelli che sono stati sottoposti a quarantena perché infetti o contatti stretti e quelli che invece hanno subito il solo, si fa per dire, lockdown.
Il rischio di sindrome da stress post-traumatico è stato studiato a lungo in letteratura scientifica anche come conseguenza di un trauma di massa, ad esempio analizzando le reazioni dei sopravvissuti agli attacchi terroristici dell’11 settembre in America o a Parigi nel 2015. L’integrazione sociale dei sopravvissuti precedente l’evento traumatico, il fatto ad esempio di avere amici o una famiglia è sempre stato identificato come fattore protettivo. Tra i superstiti coloro che avevano una integrazione sociale hanno sempre mostrato un minor rischio di sviluppare la sindrome da stress post-traumatico e se sviluppata avevano comunque maggior probabilità di guarire e in minor tempo.
In generale un approccio multidisciplinare che possa prevedere il coinvolgimento di più figure, quale medico di famiglia, medico del lavoro, psicologo e in nei casi più gravi dello psichiatra rappresenta l’approccio più importante.
Durante la crisi epidemica, le attività devono essere prevalentemente concentrate nell’aiutare a contrastare la paura. Dopo il superamento della fase critica dell’epidemia l’attenzione andrà focalizzata sulle persone quarantenate e su quelle maggiormente vulnerabili. Il supporto psicosociale più importante sarà fornito sia dai famigliari, dai servizi sociali, dagli psicologi e dagli psichiatri al fine di garantire il proprio benessere anche al lavoro e un monitoraggio nel tempo.
La difesa personale può aiutarci a crescere. Iniziare un percorso di difesa personale non solo per aumentare la nostra autostima.
Abbiamo sempre parlato durante i nostri seminari di PAURA… cercando di capire e far capire l’emozioni provate durante un aggressione. Questa volta l’aggressione è invisibile ma non ci deve privare della reazione.
Purtroppo a volte non è possibile scegliere il momento in cui combattere. Possiamo solo farlo con coraggio quando ci viene richiesto.
Bisogna ripartire e allenarsi nel rispetto delle direttive per il contenimento del virus. Noi siamo pronti….